Italiani: ecco chi deve partire se l’Italia viene coinvolta
L’evolversi della situazione in Ucraina sta preoccupando il mondo intero. Le possibilità che scoppi una guerra su larga scala si fanno sempre più concrete e i bombardamenti su Kiev e sulle principali città dell’Ucraina danno più di un segnale in questo senso.
La posizione dell’Italia, qualora dovesse esplodere il conflitto, sarebbe una sola: intervenire al fianco degli Stati Uniti.
In un articolo su Money.it vengono delineati i possibili scenari di un impegno delle truppe italiane nel conflitto, domandandosi quali e quanti soldati italiani verrebbero chiamati alle armi, e se questi possano rifiutarsi.
Chiamata alle armi in Italia: la posizione del nostro Paese
Fin dalle scuole dell’obbligo ci hanno insegnato che l’Italia ripudia ogni forma di guerra e questo principio è sancito nell’art.11 della Costituzione:
“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.
L’Italia non può ricorrere all’esercizio della guerra come arma di offesa, ma facente parte della NATO è chiamata a fare la sua parte al fianco dei sottoscrittori del Patto Atlantico, andando in aiuto di quegli Stati, in questo caso specifico l’Ucraina, che vedono i propri territori minacciati, per ristabilire la pace e garantirne la sovranità.
Chiamata alle armi in Italia: ripristino leva obbligatoria
Tuttavia, qualora l’Italia venisse attaccata scatterebbe immediatamente la difesa del territorio, come ribadito nell’art. 52 comma 1 della Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino”.
Sebbene questa eventualità sia da scartare, dal momento che i nostri confini non sono minacciati, nel caso in cui l’Italia dovesse entrare in guerra non scatterebbe automaticamente la chiamata alle armi.
Il secondo comma del sopracitato articolo spiega che:
“Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici.”
Ne vengono demandati dunque i “limiti” e i “modi” alla legge, più specificatamente in questo caso la legge n. 226 del 23 agosto 2004 che ne ha eliminato l’obbligo ed ha introdotto la “sospensione anticipata del servizio obbligatorio di leva e disciplina dei volontari di truppa in ferma prefissata, nonché delega al Governo per il conseguente coordinamento con la normativa di settore”.
Archiviata la leva obbligatoria per i nati dal 1° gennaio 1986, l’Esercito ha puntato a creare professionisti militari, arruolando VFP1 e VFP4, su base volontaria per 1 o 4 anni. Alla fine del percorso saranno loro a scegliere se proseguire o meno la carriera militare.
Quello che preoccupa in queste ore è: se ’Italia dovesse entrare in guerra verrebbe ripristinata la leva obbligatoria e la conseguente chiamata alle armi?
La risposta è da ricercarsi nel codice di ordinamento militare che stabilisce il servizio di leva (d.lgs 66/2010); mentre gli aspetti applicativi possono essere consultati nel D.P.R. 90/2010.
Il ripristino dell’obbligo di leva e la successiva chiamata alle armi ci viene dato dall’art. 1929 del codice militare alla voce “sospensione del servizio obbligatorio di leva e ipotesi di ripristino” al cui secondo comma viene spiegato che in caso di guerra l’Italia potrebbe decidere di reintrodurre il servizio di leva obbligatorio, nonostante nel primo comma venga specificato che “le chiamate del servizio obbligatorio di leva sono sospese a decorrere dal 1° gennaio 2005”.
Il servizio di leva può essere reintrodotto solo con decreto del Presidente della Repubblica, previa delibera del Consiglio dei ministri e solo nel caso in cui “il personale volontario in servizio è insufficiente e non è possibile colmare le vacanze di organico in funzione delle predisposizioni di mobilitazione”. E a essere richiamato sarebbe:
“Il personale militare volontario cessato dal servizio da non più di cinque anni”.
Chiamata alle armi in Italia: quando scatta e per chi
La chiamata alle armi per il personale militare che ha cessato il servizio da non più di cinque anni che andrebbe a rimpinguare il personale volontario, qualora questi fosse insufficiente ad affrontare una guerra, scatterebbe se:
- Viene deliberato lo stato di guerra (art. 78 della Costituzione);
- Si verifica una grave crisi internazionale nella quale il nostro Paese è coinvolto direttamente o in ragione di una sua appartenenza a una organizzazione internazionale che giustifichi un aumento della forza numerica delle Forze Armate.
Nell’articolo di Money.it viene precisato anche che, stando al comma 3 dall’art. 1929 del codice militare, sono esclusi dalla chiamata alle armi gli appartenenti alle Forze di Polizia a ordinamento civile (Polizia di Stato, Polizia penitenziaria e Polizia locale) e al Corpo nazione dei Vigili del Fuoco.
Sarebbero chiamati a colmare il gap del personale tutti gli appartenenti alle Forze Armate (Esercito, Marina e Aeronautica) e alle Forze di Polizia a ordinamento militare (Arma dei Carabinieri e Guardi di Finanza), compresi coloro i quali hanno cessato il servizio in uno di questi corpi da meno di cinque anni.
Chiamata alle armi in Italia: quando gli italiani possono rifiutarsi
Se si viene chiamati a prestare il proprio servizio per la Patria, nessuno di quelli convocati non può rifiutarsi, né fare appello all’obiezione di coscienza, proprio in virtù dell’arruolamento su base volontaria.
Il militare può rifiutare la chiamata alle armi se versa in uno stato di salute che gli impedisce di andare in guerra, è gravemente ammalato o è una soldatessa incinta.