Omicidio Sarah Scazzi, Michele Misseri vuole tornare a casa per zappare la terra

Italia

Mi manca la campagna, vorrei ricominciare a lavorare nei campi e tornare nella mia casa di via Deledda”. Queste parole sono di Michele Misseri, lo zio di Sarah Scazzi, 15 anni, di Avetrana, in provincia di Taranto, scomparsa il 26 agosto 2010 e ritrovata cadavere in un pozzo dopo 42 giorni.

Per la sua morte sono in carcere Sabrina Misseri, 33 anni, e Cosima Serrano, di 66. Entrambe, zia e cugina di Sarah, moglie e figlia di Michele Misseri, stanno scontando la pena dell’ergastolo per l’omicidio della ragazzina. Michele Misseri, invece, è stato condannato a 8 anni di reclusione per la soppressione del cadavere di Sarah: fu lui a gettarlo nel pozzo dove poi lo fece ritrovare.

Sta scontando la sua pena, ma, come è scritto all’inizio di questo articolo, ora ha chiesto di poter tornare a casa, la stessa casa in cui, stando alle risultanze dell’inchiesta, Sarah fu uccisa, la stessa casa in cui tutto cominciò. Misseri lo ha chiesto al suo legale, Ennio Blasi, il quale ha annunciato che depositerà una istanza al Tribunale di Sorveglianza, affinché il suo assistito possa scontare la restante pena in regime di detenzione domiciliare. Si tratta solo di anticipare di qualche tempo l’uscita dal carcere di Misseri, dato che grazie ai benefici di legge – che prevedono uno sconto di pena di 45 giorni per ogni semestre di detenzione – l’uomo estinguerà il proprio debito con la giustizia il 15 novembre 2024. Michele Misseri ha sempre sorpreso tutti per i suoi cambi di versione e le sue varie ricostruzioni in merito alla tragica vicenda di Sarah.

Lo scorso anno Giallo vi aveva rivelato in esclusiva il contenuto di una sua lettera scritta a penna, in cui l’uomo assolveva la moglie e la figlia dal reato di omicidio e si prendeva ogni responsabilità. Ecco le sue parole, riportate poi nel libro di Carmine Gazzanni e Flavia Piccinni, “Sarah – la ragazza di Avetrana”, edito da Fandango Libri: «Io so solo che ci sono due innocenti in carcere, che stanno piangendo lacrime d’innocenti. Io ho ucciso Sarah Scazzi. Tutto per quel maledetto trattore.

L’unico colpevole sono io. Sono stato mal consigliato, e poi gli inquirenti non mi hanno più creduto. Ma non è come tutti pensano. Dio sa tutta la verità. Io scrivo sempre a mia moglie e a mia figlia Sabrina, due innocenti». In questi anni “zio Michele” – così come l’uomo è stato soprannominato dopo l’omicidio, per la potenza mediatica che ha avuto questo caso di cronaca, fra i più seguiti in Italia – ha scritto a moglie e figlia più e più volte, senza, in realtà, ricevere risposta.

Ha scritto anche alla mamma di Sarah, Concetta Serrano, sempre per autoaccusarsi e difendere a modo suo la figlia e la moglie. Questa volta, però, colpo di scena, torna a parlare non per dare l’ennesima versione dell’omicidio della nipote, ma per chiedere di tornare a casa perché gli mancano la sua abitazione e la vita in campagna. Torniamo indietro di 11 anni e ricostruiamo insieme il delitto di Sarah.

Quel pomeriggio del 26 agosto 2010, la ragazzina sarebbe dovuta andare al mare con la cugina, Sabrina, e una loro amica, Mariangela. Scomparve e fu ritrovata il 6 ottobre, dopo 42 giorni, in un pozzo in campagna. A confessare il suo delitto fu zio Michele: disse di averla strangolata e di averla seppellita in contrada  Mosca, dove accompagnò gli investigatori. La sua ricostruzione era falsa, come hanno stabilito i giudici nei tre gradi di giudizio. A uccidere Sarah furono la moglie di Michele, Cosima Serrano, e la figlia, Sabrina. Alla base del delitto un movente futile: l’amore conteso fra le due cugine verso Ivano Russo, amico di Sabrina e di Sarah.

Ma non solo: Ivano Russo aveva rifiutato Sabrina, che una sera gli si era offerta, Sarah lo aveva saputo e l’aveva detto al fratello che a sua volta lo aveva riferito ad altri. Insomma, la ragazzina aveva riferito un pettegolezzo che metteva in cattiva luce non solo Sabrina, ma tutta la sua famiglia, in un paesino piccolo come Ave-trana, dove tutti chiacchierano. Nella mentalità di Cosima Serrano quella era un’onta da punire anche con la morte della nipote, che la considerava quasi come una mamma.

Gli Ermellini, nel ripercorrere le fasi dell’omicidio, non hanno concesso alcuno sconto a mamma e figlia. Per loro Sabrina non ha meritato sconti di pena per «le modalità di commissione del delitto e per la fredda pianificazione d’una strategia finalizzata, attraverso comportamenti spregiudicati, obliqui e fuorvianti, al conseguimento dell’impunibilità. Sabrina rese interviste, strumentalizzando i media, e deviò le investigazioni, ponendosi, in fase immediata mente successiva al delitto, come assunto e freddo motore propulsivo delle stesse in direzione di piste fasulle». Oltre al processo per l’omicidio di Sarah c’è stato anche un processo Scazzi-bis, che puntava a dimostrare come i depistaggi e le false testimonianze di diverse persone di Avetrana, con i loro silenzi e le loro bugie, avessero rallentato o danneggiato l’inchiesta.

Tra gli imputati c’era anche Ivano Russo, il bello conteso, che in primo grado a gennaio 2020 fu condannato a cinque anni per falsa testimonianza perché aveva omesso di raccontare che il giorno del delitto, quel 26 agosto 2010, aveva incontrato Sarah e Sabrina prima dell’omicidio, tra le 13.50 e le 14.15, e che le aveva viste litigare. In Appello è intervenuta la prescrizione e quindi sia la sua condanna sia quelle di altri dieci imputati sono state cancellate. Fra loro c’era anche Michele Misseri, a processo proprio per essersi più volte autoaccusato del delitto, sebbene tutte le prove raccolte abbiano sempre dimostrato la sua innocenza.

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