Meghan e Harry, William e Kate: viaggiano ormai da tempo su linee che non si intersecano

Spettacolo e Tv

La chiusura è netta. Meghan e Harry, William e Kate: divisi anche sulle nostre pagine, viaggiano ormai da tempo su linee che non si intersecano. Unico punto in comune è il fine ultimo dei rispettivi percorsi: il plauso popolare. Ma i metodi sono agli antipodi: i Sussex appaiono sempre più proiettati verso un’affermazione hollywoodiana. I Cambridge puntano, invece, a farsi amare per l’orgoglio dell’appartenenza alla corona britannica.

Ed è la cronaca, più che la teoria, a dimostrarlo. Il ritorno a Los Angeles di Harry dopo la permanenza in terra natia per i funerali del nonno Filippo ha segnato un’accelerata
nella realizzazione dei progetti che lo stanno trasformando da principe del Regno Unito a stella del jet set “impegnato”. Dopo la partecipazione al concerto Vax Live, in cui il duca di Sussex ha parlato di democrazia vaccinale, ora è pronto per diventare un vero protagonista.

Il 21 maggio, Su Apple Tv +, verrà lanciata la prima serie di documentari che lo vede comprimario assieme a Oprah Winfrey (già autrice dell’intervista-scandalo di marzo allo stesso Harry e a Meghan) che con lui ne è produttrice. Il progetto si intitola The Me You Ccm’t See (quella parte di me che non puoi vedere) e sarà incentrato sulla salute mentale, coinvolgendo personaggi di primo piano dello star System, ad esempio Lady Gagà e Glenn Close. Una prova fondamentale per Harry, che ha l’occasione di dimostrare di non essere solo il marito di Meghan. La quale, intanto, agli sgoccioli della seconda gravidanza, non riesce a divincolarsi dalle polemiche.

L’ultima riguarda The Bendi (la panchina), che segna il suo esordio come scrittrice. È un libro per bambini in uscita T8 giugno che racconta il legame tra padre e figlio, la cui trama è stata ispirata, dice lei, dal rapporto tra Harry e il piccolo Archie. Ma il progetto le ha causato gli strali dell’opinione pubblica inglese: primo, perché Meghan si è firmata sul frontespizio “Duchessa di Sussex”, dimostrando che il titolo reale, pur avendo lei criticato l’istituzione che glielo ha conferito, esercita sempre un certo appeal a fini commerciali, visto che questo è il primo progetto firmato dall’ex attrice – le frutterà circa mezzo milione di euro – i cui proventi non andranno in beneficenza. Inoltre la trama sarebbe identica a quella di un altro libro, The Boy on thè Bendi (il ragazzo sulla panchina), scritto nel 2018 dalla narratrice CorrinneAveriss.

Se Atene piange, stavolta Sparta ride. Ka-te, per converso, non è mai stata più osannata dai suoi connazionali come in questo periodo. Merito anche di Hold Stili, anch’esso un libro, ma fotografico, che contiene cento scatti realizzati da persone comuni che documentano come i britannici hanno affrontato la pandemia. I denari incassati dalle vendite saranno devoluti all’associazione per la salute mentale Mind e alla National Portrait Gallery, dove la duchessa ha presentato il volume indossando uno sfavillante cappotto del brand londinese Eponine.

La perfezione, in questo caso, non incute timore, ma testimonia continuità. E il tema delle sorti della corona è al centro del dibattito. Elisabetta II Eli maggio ha presenziato alla sua sessantasettesima cerimonia di apertura del Parlamento. È stata accompagnata dal principe Carlo e da Camilla, che hanno preso posto sulle Chair of State posizionate accanto allo scranno reale dove, unicum dal 1957, non compariva il trono del consorte (fu introdotto nel 1901 da Edoardo VII per la regina Alexandra), da sempre e salvo rare eccezioni occupato da Filippo, la cui mancanza, ancora una volta, dimostra tangibilmente la fine di un’epoca.

Sua maestà ha letto il Queen’s Speech redatto dal governo e, sempre accompagnata da Carlo, ha lasciato la Camera dei Lord. Nessuna sbavatura, forse giusto un accenno di stanchezza testimoniato da quel soprabito che pareva di una taglia più grande, segno del dimagrimento che sempre accompagna la sofferenza dell’anima: e che cosa c’è di più doloroso della perdita del compagno di una vita? E poi la mano poggiata a quella del figlio: certo un’imposizione del cerimoniale, ma stavolta assai significativa. Eccoli i tasselli che sdoganano la domanda finora solo sussurrata, quasi a voler scacciare nefasti presagi: per quanto ancora la sovrana, 95 anni, avrà la forza di sostenere il peso del ruolo?

È arrivato il momento di nominare il principe di Galles sostituto prò tempore? Se le tempistiche sono incerte, la legge aiuta a fare chiarezza. «Il Regency Act del 1937, emanato dal Parlamento sotto re Giorgio VI, padre di Elisabetta, disciplina i casi che mettono in moto la nomina di un reggente: infermità mentale, fisica o per indisponibilità dovuta ad altra causa», spiega Claudio Martinelli, docente di diritto pubblico comparato all’Università di Milano-Bicocca e raffinato conoscitore dei meccanismi costituzionali britannici che ha ben raccontato in Diritto e diritti oltre la Manica (Il Mulino).

«La situazione di incapacità del sovrano deve essere dichiarata da almeno tre soggetti selezionati all’interno di un collegio di grandi saggi. E la reggenza viene conferita al primo in linea di successione in grado di adempiere all’incarico». In questo caso si tratta del principe di Galles: superfluo sottolineare che è maggiorenne, vive nel Regno  Unito ed è in grado di intendere e volere. Ora, è chiaro a tutti che la situazione fisica e psicologica della sovrana, a oggi, non rientra in nessuna di queste categorie. Ma l’età ha un peso, eccome. «Siamo in effetti in un’età di mezzo: il principe già svolge alcune mansioni reali in forza di una sorta di delega che sua maestà gli ha conferito nel 2015, quando ha deciso che non si sarebbe più ricata all’estero in visite ufficiali. La reggenza dunque è già in atto, solo è circoscritta a determinati impegni.

Diverso sarebbe se Elisa-betta si rendesse conto di non riuscire più ad assolvere alla funzione regnante, per esempio se fosse incapace di leggere il discorso di apertura del Parlamento o di incontrare il primo ministro per i colloqui settimanali. Si prefigurerebbe l’idea di regnare in due, improbabile perché non è nella tradizione britannica. L’unica soluzione sarebbe l’abdicazione». Che però molti tendono a escludere, visto il giuramento pronunciato da Elisabetta nel 1947, quando aveva 21 anni ed era ancora principessa: «Tutta la mia vita, lunga o breve, sarà dedicata al vostro servizio». Precisa Martinelli: «Non si tratterebbe del venir meno di una promessa ma, al contrario, sarebbe l’estremo gesto per tenervi fede».

La lettura del professor Martinelli coinvolge anche William e Rate «saldamente inseriti nel funzionamento della macchina reale, ma anche in quello dell’aristocrazia che ha sempre assunto, al di là della Manica, un ruolo positivo, incentrato sulla tradizione. Rappresentano il perfetto tramite tra continuità e modernità», come dimostra il loro recente debutto su YouTube. «E durante la pandemia hanno onorato il profondo legame tra il popolo e i regnanti».

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