‘Non abbiamo scampo’: la disperazione a Gaza tra nuovi attacchi e paura

Esteri

Le forze armate israeliane hanno ripreso le operazioni militari nella Striscia di Gaza, interrompendo la tregua in vigore dal 19 gennaio. Le conseguenze di questa escalation sono già evidenti, con città ridotte in macerie e residenti che, dopo aver tentato di ricostruire le proprie vite, si trovano nuovamente in una situazione disperata. Le testimonianze raccolte da Fanpage.it descrivono un quadro drammatico, con la popolazione costretta a fuggire e a vivere in condizioni precarie.

I bombardamenti recenti hanno colpito simultaneamente diverse aree della Striscia, inclusi i campi profughi, dove centinaia di migliaia di persone vivono in tende, incapaci di tornare nelle loro case distrutte. Le nuove operazioni militari, che coinvolgono attacchi aerei e l’uso di carri armati, rischiano di riproporre il tragico scenario già vissuto nei mesi precedenti.

Mohammed Almadajlawi, residente nel campo profughi di Jabalia, ha condiviso la sua esperienza: “Negli ultimi due giorni la situazione è un inferno – ci spiega – ci sono stati 710 morti e 900 feriti, hanno bombardato le case che erano ancora in piedi, come prima della tregua”. Ha anche riferito che l’esercito israeliano ha distribuito volantini invitando la popolazione a lasciare le proprie abitazioni, creando un clima di paura e confusione. “È successo a Rafah, a Beit Hanoun, a Beit Lahia; la gente è costretta a scappare improvvisamente e non è la prima volta”, ha aggiunto.

Il ciclo di violenza si ripete, costringendo i palestinesi a raccogliere rapidamente ciò che possono e a fuggire, senza la possibilità di portare con sé gli oggetti essenziali. “Le persone per la settima, ottava volta, da quando è iniziata la guerra, devono ricominciare tutto da zero – racconta Almadajlawi – e non possono portare via nulla, devono solo pensare a scappare”. La situazione è ulteriormente aggravata dal blocco degli aiuti umanitari, che ha reso difficile l’accesso a cibo, acqua e medicinali. “Ora di nuovo manca l’acqua, manca il cibo, mancano le medicine, mancano anche le bombole di gas per cucinare, la benzina per spostarsi. La gente ha paura, ma è soprattutto stanca, non ce la fanno più”, ha dichiarato Almadajlawi.

La ripresa dei bombardamenti ha costretto la popolazione a spostarsi continuamente in cerca di luoghi sicuri, ma questa pratica di guerra è stata ampiamente criticata a livello internazionale. “Ci inviano i volantini per dirci di spostarci, ma non esiste nessun posto sicuro – prosegue Mohammed – io non lo so dove andrò, ma non solo io, tutta la Striscia di Gaza non sa dove andare”. Le indicazioni di spostamento sono confuse e contraddittorie, creando ulteriore caos tra i civili. “Ci dicono di andare dal Sud verso Gaza, dopo un’ora ci dicono di sfollare al Sud, poi dopo ci dicono di andare verso Nord”, ha spiegato.

Le modalità dei bombardamenti recenti hanno dimostrato una strategia militare che ha portato a un numero elevato di vittime civili. Almadajlawi ha descritto gli eventi degli ultimi giorni: “Due giorni fa e ieri i bombardamenti sono stati in contemporanea, dal valico di Rafah fino a Beit Hanoun. Hanno bombardato nello stesso momento, sono morte centinaia di persone in 10 minuti”. La mancanza di un luogo sicuro e la continua minaccia di attacchi aerei hanno reso la vita insostenibile per gli abitanti della Striscia di Gaza.

In questo contesto, la popolazione vive in uno stato di incertezza e paura, con la consapevolezza che la guerra ha ripreso il suo corso inesorabile. La speranza di una tregua duratura sembra svanire, mentre gli abitanti della Striscia cercano disperatamente di sopravvivere in condizioni sempre più precarie. La testimonianza di Mohammed Almadajlawi e di molti altri riflette una realtà complessa e dolorosa, caratterizzata da lutti, distruzione e un futuro incerto.

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