Un incontro casuale e un sorriso che racconta la vita: la storia di un anziano e dei suoi occhi perduti
Stamattina sono uscito per prendere una boccata d’aria. Vivo in una via che fa una curva pericolosa, e proprio alla curva hanno messo un autovelox che si trova esattamente dove sto io. Poi ci sono marciapiedi ai lati, un fiorista da cui non vado, un negozio di scarpe da cui non vado, e più avanti un gelataio e un fruttivendolo da cui vado.
Mi sono incamminato verso una via che per me ha sempre avuto un significato speciale, con un fosso che la solleva, anch’esso molto significativo per me. A un tratto, circa a metà strada, ho visto un anziano che guardava a terra. Forse per solidarietà – lì avevo perso un gatto – forse per curiosità, mi sono messo a osservarlo. Indossava scarpe nere, perfettamente lucidate, che mi hanno ricordato La guerra dei Roses; pantaloni grigi con la piega; un pullover di lana grezza, rossa e blu, e un curioso sciarpino.
Ho continuato il mio cammino, arrivando a ridosso del campo, sulla sinistra, che per me ha avuto un grande significato. Non fumando, non ho fumato, ma mi sono messo a respirare. Ho sperato che nessuno tagli mai quel prato. Quando sono tornato, il vecchio era ancora lì, con lo sguardo fisso a terra.
“Posso aiutarla?” gli ho chiesto.
“Ah, ma se non li trovo io,” mi ha risposto in dialetto. Non me l’aspettavo, quel dialetto, da una persona come lui. Suonava vagamente dissonante.
“Ho gli occhi buoni. Cosa cerca?” gli ho chiesto.
“Sono uscito con gli occhi di mia moglie. Stava ancora dormendo, sa, è malata, e ho voluto fare una passeggiata con quelli prima che si svegliasse. Ma adesso non li trovo.”
“Com’erano?” gli ho chiesto.
“Ah, belli!” ha risposto.
Ci siamo guardati un po’ intorno. È passato un uomo con un cane, poi un’auto che ci ha sfiorato lentamente. Il sole sembrava essersi dimenticato di muoversi. Ho visto mozziconi, carte di caramella, un foglio, ma occhi… niente.
Poi mi è venuto un dubbio. L’ho guardato.
“Ma scusi, non è che sono quelli che ha addosso ora?” gli ho chiesto.
Si è fermato, si è raddrizzato e si è toccato il viso, tutto perplesso. Poi ha sorriso.
“Sempre così,” ha detto. “Scusi, sa? È l’età.”
E si è incamminato, muovendo a piccoli scatti la mano destra, verso casa.
Non gli ho nemmeno chiesto il nome.