Elena Del Pozzo, quelle madri assassine: cos’è la sindrome di Medea e quali sono i segnali da non sottovalutare
I segnali da non sottovalutare
La «stragrande maggioranza delle mamme – tiene a sottolineare Mencacci – non perde la testa da un momento all’altro, con la conseguenza di un dramma come quello di Catania. Però sappiamo che i fattori di rischio sono sicuramente l’età giovane, un livello di istruzione basso e anche intellettivamente non brillante, spesso condizioni di basso livello socio economico». A tutto questo, secondo l’esperto, vanno aggiunte alcune condizioni di rischio familiare e ambientale: «Instabilità familiare legata alla separazione e poi la condizione di una bambina con un temperamento complesso, difficile». Ma molte situazioni di figlicidio riguardano anche donne che già mettevano in atto forme di maltrattamento dei propri bambini, spesso «un comportamento impulsivo che può avere la madre in risposta a pianti, urla, applicazione delle regole. E ciò che ne consegue può essere accidentale: non vi è cioè l’intento premeditato dell’uccidere il bambino, ma ciò avviene come atto estremo dell’evoluzione di quella che è definita ‘sindrome del bambino maltrattatò».
I figli usati come strumento
La gelosia verso la nuova compagna del marito, un’altra ipotesi e per la Procura uno dei moventi, è per Mencacci «la caratteristica intrinseca del complesso di Medea», che implica che «si soffre di una gelosia e una ossessività patologiche e il fattore scatenante è proprio la conflittualità col compagno e la bambina è utilizzata come uno strumento per creare sofferenza. Azioni come queste – conclude – sono spesso precedute da recentissime liti con gli ex compagni».