Eva Grimaldi tra rimpianti e nuove speranze
Proprio come un bocciolo che si schiude alla fine del grande freddo, un sogno si avvera solo se si è preparati ad affrontare le avversità sulla strada della realizzazione. Il sogno di Eva Grimaldi si è avverato e non ha solo il sapore dell’amore, ma anche il profumo della conquista, per chi, come lei, è artefice della propria fortuna. Oggi si guarda allo specchio e vede una donna consapevole, stabile e ricchissima dentro. E fuori? Ha 60 anni e ne dimostra molti di meno. Ma l’età è solo un numero.
E il segreto di Eva non sta nella cura del corpo, che oggi vive quasi come una gabbia, ma nell’equilibrio interiore, nutrito anche dall’amore (per Imma Battaglia, sua moglie dal 2019). Roma era scritta nel destino di Eva.
Arriva qui giovanissima, conosce la popolarità in Tv come guardarobiera sexy in Drive In. Lascia il programma per girare Intervista, il film di Federico Fellini: è il 1986. Lavora con Risi, Damiani, Monicelli. In Francia gira con Claude Chabrol, recita con Depardieu e Clavier in Les anges gardiens (Soldi proibiti), film record d’incassi Oltralpe.
In Italia è diva tra lustrini e paillettes, posa senza veli per Playboy, è la primadonna del Bagaglino e attrice di fiction di successo. Poi anni di silenzio, il telefono non squilla più. Eva riparte dal teatro con Roberta Torre ed Enrico Maria Lamanna, dai talent e dai reality: Ballando con le stelle, Pechino Express, l’Isola dei Famosi, Tale e Quale Show e il GF Vip appena concluso. Ma il cinema non chiama. «Sto ancora aspettando quella telefonata…
Dovevo fare un film, ma non se n’è fatto più niente perché ho partecipato a dei reality. Chi li fa è condannato a portare una lettera scarlatta sul petto», racconta l’attrice. Eva, se ti fermi a pensare, quali delusioni ti pesano di più oggi? «Quelle professionali. La mia è un’età difficile. Ho 60 anni e sia il mio viso sia il fisico reggono bene. Possono un bel corpo e un bel viso essere una colpa o una maledizione? Se a quest’età sei un’attrice e sei anche bionda e bella può essere difficile lavorare. Inutile negarlo».
Ti senti incastrata nel cliché della “bionda fatale”? «Sì. E faccio molta fatica a liberarmene. Cerco ruoli differenti dal passato, nuove occasioni per mettermi alla prova: non ho paura di sembrare più vecchia o brutta sul set. Imbruttitemi, invecchiatemi!».
Hai lavorato con i grandi del cinema, che ricordi hai sul set? «Fellini: magico, intoccabile. Al provino l’ho “ingannato”. Per somigliare un po’ ad Anita Ekberg ho messo dei calzini nel reggiseno. Purtroppo un calzino è fuoriuscito, e lui ha detto: “E quello cos’è?”.
A quel punto ho confessato: “Volevo solo somigliare alla Ekberg!”. Lui si è messo a ridere: “Ti prendo per la simpatia”». E Risi, Monicelli, Depardieu? «Dino Risi, complice e simpatico. Vittorio Gassman era umile e affascinante.
Ero pazza di lui, gli scrissi una poesia d’amore, ma non gliela lessi mai. Depardieu: un giocherellone, capace di ridere e scherzare due secondi prima del ciak e poi recitare con una sicurezza innata. Chabrol era un intellettuale, affascinato dalle storie delle donne. Monicelli era esigente, umorale, un vero Maestro». Hai detto: «Nel mondo dello spettacolo Anni 80 era più importante apparire che essere».
E oggi? «C’è più profondità intellettuale, più ricerca sia nella scrittura sia nello studio dei personaggi. È cambiato tutto, una sola cosa è rimasta uguale: il cinema è ancora in mano agli uomini. Quando c’è una produzione femminile se ne parla tanto perché è raro vederne». Con chi sogni di lavorare? «Sorrentino e Tornatore. E poi Ferzan Özpetek: sarebbe un privilegio essere diretta da lui. Firmerei un contratto alla cieca, sono sempre pronta a dirgli sì e lui lo sa.
Ho sperato molto mi prendesse per la serie Le fate ignoranti». E in Tv? «Mi piacerebbe un programma in stile Stranamore, con storie di sentimenti delusi, di abbandoni in età adulta. Per me non c’è vita senza amore». Se tornassi indietro cosa non rifaresti? «Forse non lascerei Parigi.
Se fossi rimasta in Francia, dopo il successo di Les anges gardiens, di Jean-Marie Poiré, forse avrei avuto un’altra carriera, le cose sarebbero andate diversamente. Ma poi penso che non avrei incontrato Imma. Da un sogno lavorativo infranto ne è nato uno d’amore». È vero che con Imma c’è il progetto di allargare la famiglia? «Sì, ma è un percorso molto lungo.
Prima del conflitto ucraino avevamo avviato le pratiche per diventare affidatarie, esattamente “zie affidatarie”, di bambini e ragazzi che hanno già dei genitori, che non riescono però a garantire loro l’istruzione e una vita soddisfacente.
Una volta scoppiata la guerra le cose sono cambiate e con l’associazione Mamme matte abbiamo dato disponibilità ad accogliere in casa nostra una madre con figli profughi di guerra». Dove affonda le radici il legame tra te e Imma? «Nei valori che ci hanno trasmesso le nostre famiglie. Siamo due donne moderne e progressiste nel pensiero e nei fatti, ma la nostra quotidianità è normale e molto legata alle tradizioni».