Monica Bellucci non ha paura di mostrare le rughe
Ecco un’altra che arriva dalla moda e vuole fare cinema: dicevano questo di Monica Bellucci, ai suoi esordi. Lo ricorda lei stessa, con l’ironia che la contraddistingue, riconoscendosi oggi come merito la determinazione di non essersi mai data per vinta: «Come un bambino che cade e si rialza ho imparato giorno per giorno una maniera completamente diversa di esprimermi ed espormi». Sapersi adattare alle esigenze professionali più diverse, passando dalla moda al cinema, fino a serie Tv come Twin Peaks, è il segreto del suo successo.
Solo un’attrice con una predisposizione a reinventarsi può passare con disinvoltura dal vestire i panni di icone come Maria Callas e Anita Ekberg alla Befana, che porta sul grande schermo dal 30 dicembre. «Avevo già interpretato una strega nel film sui fratelli Grimm, ma quella di La Befana vien di notte 2 – Le origini è più una fata, la cui vita è permeata di magia», dice. «La forza del film sta nell’approfondimento psicologico dei protagonisti e la mia Dolores è una strega molto umana, un personaggio di fantasia ma anche una donna vera che ha perso il figlio.
È buffo, tutti abbiamo avuto paura della Befana da piccoli, perché è la strega che porta il carbone ai bambini cattivi. Io stessa sono ancora sotto choc da quando da bambina il giorno dell’Epifania aprii la porta di casa e vidi una strega terribile. Mi fece una paura pazzesca, l’ho esorcizzata solo oggi con questo film e con la mia fata buona che protegge e salva i bambini, diventando una sorta di madre per loro».
Nella vita reale Monica ha due figlie (Leonie e Deva, avute con Vincent Cassel): «Sono molto amica delle mie figlie penso che il rapporto madre-figlia debba sempre basarsi sull’amicizia». È la dimostrazione vivente che compiuti i cinquant’anni la carriera di una donna non solo non si arresta, ma può impennare: sostiene soddisfatta la libertà di potersi rivelare finalmente sotto un’altra luce. «Mostrare le rughe è una forma di libertà.
Non è facile per un’attrice trovare chi ti consente di staccarti dalla necessità di apparire in un certo modo per offrirti completamente al personaggio». Di più, ha scoperto che il tempo che passa ha i suoi lati positivi: «Nella mia carriera non ho mai fatto grandi trasformazioni fisiche tipo assumere o perdere venti chili per un film, ma il tempo che passa mi ha dato la chance di farmi accedere ad altri ruoli». Si riferisce alla prima esperienza teatrale della sua vita: sta portando in giro per il mondo lo spettacolo Letters and Memoirs su Maria Callas. «Ho letto le sue memorie e non ho resistito a portarle in scena, anche se era la mia prima volta sul palco.
L’emozione era tale che non ho potuto dire di no. È una grande ispirazione: era una diva, ma anche una donna molto sensibile, emotiva, intelligente. Sul palco porto Maria, più che la Callas». Il risultato? «Mi sono commossa, spero che la gente provi le stesse emozioni che sento io nel leggere le sue lettere in scena. Ho scoperto che l’unico trucco da dover indossare sul palco è la sincerità assoluta, perché sei davanti al pubblico e hai una connessione diretta con chi ti ascolta».
Sbaglia chi pensa che per Monica sia facile interpretare una diva: «Oggi c’è un divismo diverso rispetto al passato, con Internet abbiamo accesso a ogni persona, prima le attrici erano lontanissime, le vedevi solo sullo schermo». Lo sottolinea molto parlando di un altro dei suoi lavori, il documentario The Girl in the Fountain su Anita Ekberg, presentato di recente al Torino Film Festival, che l’ha insignita del riconoscimento Stella della Mole. «Anita è stata vittima del suo tempo: è arrivata in Italia come un tornado nell’epoca in cui le donne erano relegate a un ruolo domestico.
I paparazzi impazzivano per lei. Bionda, esplosiva, ha sbaragliato tutti gli usi e costumi: ballava sui tavoli, era libera e indipendente economicamente. Forse non si rendeva conto che darsi così tanto in pasto ai giornali e agli scoop diventava un gioco troppo pericoloso.
Io mi sono avvicinata a lei in punta di piedi, con estrema umiltà, cercando di trovare connessioni intime. Il documentario mostra il processo creativo di un’attrice che cerca di rappresentarne un’altra: c’è dietro un lavoro di trasformazione, di dialogo serrato con il regista e il coach, ma tutto prende vita solo quando instauri dentro di te una connessione forte con la persona che rappresenti». Non è stato un incontro tra star: «Il film mette a confronto due epoche e un modo diverso di vedere le attrici.
Io per esempio non sono una diva, faccio questo lavoro con amore, e se riesco a trasmettere emozioni sono felice, perché tutti abbiamo bisogno di sognare. Ho fatto anche film che non sono mai usciti in sala; uno iraniano che non ha visto nessuno. Tutto mi è servito nel percorso di crescita». Monica fa l’attrice per coronare il suo sogno impossibile: volare. «Recitare è il mio modo di volare alto, sfuggendo alla quotidianità nel lavoro.
È una magia», che fa evadere, ma non protegge. «Di un’attrice siamo abituati a vedere le copertine, ma dietro il tappeto rosso ci sono il rischio, la ricerca, la paura, la solitudine e tutto questo non si vede. Lo dico soprattutto alle nuove generazioni affinché siano consapevoli della strada che intendono percorrere, nel caso in cui volessero recitare. Detto questo, il mio consiglio a loro, come alle mie figlie, è sempre lo stesso: inseguite i vostri sogni, perché se ci credete si realizzano ». Proprio com’è successo a lei.