Daniele Sepe è un grandissimo sassofonista e compositore nelle sue collaborazioni possiamo ritrovare nomi come Stefano Bollani e 99 Posse. questa sera Daniele Sepe sarà ospite nella trasmissione condotta da Stefano Bollani e Valentina Cenni in via dei matti numero zero. Daniele Sepe nasce a Napoli il 17 aprile 1960 sotto il segno dell’Ariete attualmente ha 61 anni.
Daniele Sepe e i primi album Nel 1990, Daniele Sepe ha realizzato il suo primissimo album che ebbe anche l’onore di autoprodurselo e che si intitola Malamusica. Nel 1993 ha iniziato a collaborare con i 99 Posse, band napoletana, collaborando con loro per il brano Curre curre guagliò, il piu celebre della discografia dei 99 Posse.
Daniele Sepe si guadagna, inoltre, la stima del gruppo venendo citato nell’altro singolo di successo dal titolo Ripetutamente. Daniele Sepe e il successo Il successo per Daniele Sepe, però, tarda arrivare e avviene solo con il quarto album pubblicato dall’artista dal titolo Vite perdite edito nel 1993 e che realizza con Polosud Records e che, poi, viene distribuito in tutto il mondo sotto etichetta tedesca, Piranha.
Tre anni dopo, nel 1996, arriva anche la sua primissa antologia dal titolo Viaggi fuori dai paraggi ma è con Lavorare stanca che si aggiudica anche una targa Tenco come miglior album in dialetto. Daniele Sepe: discografia Sono tantissimi i successi di Daniele Sepe, ultimo in ordine di tempo è Capitan Capitone e i fratelli della costa edito nel 2016, ma da menzionare c’è anche L’ammore o’ vero in featuring con Gnut.
Daniele Sepe sorprende, sempre. Sorprende chi lo conosce e soprattutto chi non lo conosce. Forse disorienta chi non lo conosce, specie se abituato ad un certo ordine nell’ascoltare la musica come in altre occupazioni della vita. Sicuramente, oltre che un artista a tutto tondo, un compositore egregio, un sassofonista bravissimo, una mente in fibrillazione costante per quanto basilarmente rilassata, si potrebbe definire un “guastatore”. E nel senso migliore del termine.
Guasta e destabilizza tutto quanto normalmente si presenterebbe come scontato e revedibile, omologato e piatto. E’ profondamente napoletano, con alcuni dei difetti e con molti dei pregi del suo popolo, fra questi la curiosità e la capacità di allargare lo sguardo fino ad abbracciare una forma d’arte nella sua interezza, in questo caso la musica.
Ormai da diversi anni tratta la musica come una materia eterogenea, composita, plasmabile, dove ogni molecola può combinarsi con le altre.
Il Jam jazz
I generi non esistono, esiste un magma sonoro, Stockhausen può incrociare la tarantella, Mingus incontrare Nino D’Angelo, Matteo Salvatore e Gato Barbieri.
Ha cominciato sedicenne con i Zezi che combattevano per ’Alfasud, ha continuato facendo il turnista, ha guidato la Notte della Taranta, ha battezzato i 99 Posse, ha partecipato da protagonista all’onda sonora del Neapolitan Power, ha calcato i palchi dei festival jazz, ha recentemente incontrato personaggi come Stefano Bollani (collaborazione che dura ormai da un po’ fra i due) e Vinicio Capossella. Come a dire stesso tipo di teste e di potenziale follia.
I suoi modelli sono tanti, o per lo meno lo sono i grandi musicisti che deve aver ascoltato davvero tante volte fino a compenetrarsi. Ma il mondo lucidamente folle di Frank Zappa con la sua sterminata produzione è probabilmente il riferimento più pertinente, soprattutto come compositore ed arrangiatore. Il suo capolavoro è Vite Perdite, che ormai ha la bellezza di ventisette anni ma non perde un pelo della sua magnificenza, opera che brilla di luce propria.
Che differenza ragionare di fare un disco a tema come “A Note Spiegate” o il tributo a Gato Barbieri o educare i più giovani facendo conoscere Victor Jara e un disco con una ciurma così eterogenea?
Mbé, non è la prima volta. Diciamo che ad un aspetto più vicino al alto strumentale, da sassofonista, del mio lavoro, ho sempre accostato uno più attento al mondo della narrazione, della canzone.
Considero la musica tutta interessante, e sono un appassionato da sempre di canzone, da Conte a Lolli, da Brassens a Brecht, e poi Zappa faceva anche canzoni, no?
Chi non c’è? E chi c’avresti voluto?
Ah, con più di cento persone nel disco sarei un incontentabile. Di certo non abbiamo fatto in tempo con Enzo Savastano e Dario Sansone, con i quali poi abbiamo messo un piccolo contributo estemporaneo. Nel prossimo loro due ci saranno sicuro.
Quando c’erano ancora i negozi di dischi mi hai detto che “70 minuti di un CD so’ troppi e nessuno li ascolta”, però ma qui ne avete suonato 67,28. Hai cambiato idea?
Non ho cambiato idea, nel senso che penso sempre che oggi l’ascolto sia pensato e vissuto diversamente, ma resto un uomo del mio tempo, quando compravi un disco a settimana e lo consumavi tutto dall’inizio fino alla fine, ascoltandolo con gli amici, e non ho mai vissuto il fascino del singolo o dell’ex 4“.
“Lasciate che i bambini vengano al Capitano”: ci sono due cori, uno di Pescasseroli e uno della Scalzabanda. Come li hai scelti?
Ricordavo che Scalzabanda, che avevo coinvolto nel concerto alla Sanità con Vinicio Capossela, aveva un coro di bambini, e poi Antonello Iannotta dei Patrios mi ha anche parlato del coro di Pescasseroli. Una buona occasione per fare una gita in un posto dove si mangia dell’ottimo ragù di cinghiale. Entrambi i cori fantastici e i bambini commoventi.
Oltre a cantare i bambini sono anche parte del tuo pubblico e hai inciso brani che si rivolgono a loro… Come te lo spieghi? È’ colpa dei genitori? Come farsi ascoltare dal pubblico di domani?
Ma no, non penso che la colpa sia dei genitori, o meglio, la colpa è dell’andazzo culturale di questa nazione, a cominciare dalla televisione. Gira tutto intorno al consumo, e ai bambini sono visti come clienti, al pari di tutto il resto dell’umanità. Ma restano in qualche maniera ancora non formati, o meglio deformati, dalla fabbrica del consenso. Possono ancora dire no.
Una delle cose da ammirare nelle tue incursioni internazionaliste è la tua capacità di scovare storie piccole che possono insegnare tanto. Uno di questi è Avitabile alias Abu Tabela. Ce la racconti la sua storia?
Come è narrato nel libretto accluso al CD, è la storia mirabolante in un ufficiale dell’esercito di Murat che finisce per diventare il pascià dell’Afghanistan, ricco e pieno di donne, ma la nostalgia canaglia lo riporta sessantenne a voler ritornare ad Agerola, il suo paese natio, e dopo una vita di pericoli e battaglie finisce avvelenato dalla moglie venticinquenne. Destino strano, eh?
Altra storia migrante è quella del trombettiere di Custer originario di Sala Consilina… qui musicalmente che è successo?
Volevo raccontare questa altra storia incredibile di un nostro conterraneo, e ho adattato una vecchia ballata sudista alle parole di un testo ex novo. Un divertissement anti eroico, contro la stupidità di generali e colonnelli. E della guerra in generale.
Una chanson a virer della tradizione bretone diventa “Marenare”. A parte la centralità della cultura marinara, che rapporto hai con la musica di artisti bretoni come Stivell e Dan Ar Braz (l’Hendrix bretone che richiamate nel finale del brano) che sono stati fondamentali nel folk revival dei ’70?
Con Stivell ho avuto l’onore di suonarci insieme quando ero piccolo piccolo, suonammo l’Internazionale, lui con la sua cornamusa bretone. E’ musica che mi ha formato al pari di Coltrane e Rollins. Da piccolo consumavo Chieftains e Dubliners, e giravo sempre con un tin whistle con me. Anche ora sul capitone ho sempre un whistle a bordo.
Dietro la veste neomelodica di “’O guardio” mette al centro storie di morti violente adolescenziali. Ha senso farne delle bandiere e dividere il mondo sempre in buoni e cattivi? Questo al di là di responsabilità individuali che vanno condannate.
I buoni e i cattivi esistono, c’è sempre una differenza tra il carcerato e il carceriere, tra lo sfruttato e lo sfruttatore. Siamo schiavi entrambi del sistema capitale, ma abbiamo responsabilità diverse. Certo un quindicenne dovrebbe non delinquere, anche se lo devi andare a raccontare a chi non ha niente. Ma un adulto in divisa deve essere più responsabile di quello che fa.
Cosa è successo in “Uagliun & uagliole”?
Che abbiamo cercato in tutto il repertorio molisano qualcosa di adatto al Capitone, ed è stato difficile. Poi abbiamo trovato una vecchia canzone popolare, molto ironica, sulla moglie che resta a casa mentre il marito sta a guarda le pecore e l’abbiamo adattata al presente
La musica antica è un altro punto fermo: mi riferisco in particolare a “Ondas do mar de Vigo”. L’hai scelta per la voce della Zamuner o viceversa?
La Zamuner imperversa in tutto l’album, come Sabba. Sono due voci duttili, fantastiche e pronte ad affrontare qualsiasi cosa. Penso che Emilia farà una carriera fantastica.
Era necessario dire la tua sulla trap con “Romeo & Giulietta 2.0”?
La trap è musica no? Se faccio hip hop alla mia maniera con Shaone da anni, possiamo fare anche un pezzo trap…
La bussola è ancora brasiliana con “Core ‘e pappavalle” Come nasce e chi ci suona?
All’inizio pensavo a un brano per coinvolgere Stefano. Poi ho pensato che era limitante pensare sempre a Bollani che interprete carioca. Ho scritto il brano inizialmente per flauto, poi mentre missavo Antonello si è messo a fischiettare il tema e l ho messo subito davanti al microfono. Avevo fatto un solo col flauto basso, ma poi ricordandomi la passione di Jobim per il fagotto ho trascritto tutto ed affidato a Capone la realizzazione
Dopo questa scorribanda storico-geografica, cosa bolle nel calderone sonoro di Daniele Sepe?
Sto mixando il disco in quartetto con Roberto Gatto, Pierpaolo Ranieri e Tommy De Paola, e poi ho un Zappa da missare con Hamid Drake e Dean Bowman…