Vittoria Puccini e Alessandro Preziosi: lei svela perché si sono lasciati
Mantecare non è una parola che senti usare spesso da un intervistato: mai l’avevo sentita usare da un mio intervistato, prima di oggi. Eppure non mi stupisco quando Vittoria Puccini risponde «io mantèco» alla domanda sulla divisione dei compiti in cucina con il compagno Fabrizio Lucci, direttore della fotografia, chef dilettante come Vittoria – lui la precisione: affettare, tritare, impiattare; lei il movimento: amalgamare, incorporare, lavorare.
Tutto nelle sue risposte racconta lo sforzo di armonizzare, integrare, tenere insieme esigenze e aspirazioni diverse. La voce avvolgente, vellutata e roca, che solo una volta si spezza, quando parla della madre. La scelta misurata delle parole, anche quando esprimono pareri convinti. Il rispetto con cui parla delle persone della sua vita, soprattutto di Elena, 15 anni il 16 maggio, avuta da Alessandro Preziosi.
Ci sentiamo proprio al rientro da una passeggiata a Villa Borghese con la figlia, prima di una mattina di Dad. «È una valvola di sfogo, ne ha bisogno. Dobbiamo essere vicini ai ragazzi della sua età in questo momento difficile. Sono anni fondamentali in cui tutto dovrebbe ruotare attorno ai rapporti sociali, e invece loro sono privati del confronto con gli altri – anche lo scontro, anche il disagio – che ti forma».
Lei ha più volte raccontato di essere stata un’adolescente insicura. La sicurezza l’ho conquistata quando ho iniziato a recitare. Ma se il lavoro mi ha permesso di esorcizzare la mia timidezza nascondendomi dietro altre persone, quella timidezza farà sempre parte di me, e le sono affezionata. Prima ne parlavo con Elena: questa sensazione di non essere all’altezza, di stare sempre in bilico come un’equilibrista, è importante per me. A ogni set nuovo, a ogni nuovo regista, è l’insicurezza che mi fa mettere in gioco, concentrare sulla sfida. Non vorrei mai essere quella che pensa di fare con la mano sinistra. Arrivare a capirlo e accettarlo, fare pace con la mia fragilità è stato un gran traguardo.
Pensa che alla generazione di Elena stia mancando questo confronto che destabilizza ma fa crescere? Purtroppo è sostituito dai social, dal confronto con una dimensione che non è reale. Il nostro senso di inadeguatezza era legato a rapporti veri, e non c’entrava niente con i modelli estetici: Claudia Schiffer e Cindy Crawford erano aliene irraggiungibili, le ammiravi ma non ti frustrava il fatto di non essere come loro.
Oggi i modelli sono più accessibili, fintamente vicini perché pensi di sapere tutto del personaggio, entri nella sua vita, e anche se è una vita artefatta da filtri e manipolazioni, tu ragazzino ti senti sfigato se non gli assomigli. In compenso i quindicenni di oggi sono molto più evoluti intellettualmente di come eravamo noi, molto più aperti sul mondo, e questo permetterà loro di uscire più forti dalla guerra che stiamo vivendo. Hanno una libertà dai pregiudizi che mi affascina. E proprio crescendo Elena ho capito quanto siano importanti i modelli culturali che il mondo dello spettacolo propone, il fatto di presentarti in tutta la loro normalità vite che non sono la tua, e di metterti nei panni di persone totalmente diverse da te, e che così riesci a capire – una coppia di genitori omosessuali, per esempio. Non siamo solo intrattenimento. Il nostro è un lavoro socialmente importante, capace di trasmettere messaggi di inclusività, di non paura del diverso, che formano le persone e possono migliorare la società.
La fuggitiva, il suo nuovo personaggio, non è una donna convenzionale. Per la prima volta nella mia carriera è un personaggio dalla fisicità importante. Una donna che si illude di aver rimosso la cicatrice del suo passato. È bambina quando i genitori muoiono in una rapina finita male. Il giardiniere, complice dei rapinatori, si pente e per salvarle la vita la porta con sé in Jugoslavia. Lì scoppia la guerra e lui – questa !gura ambigua tra il carnefice e il protettore – le insegna a combattere, a sopravvivere. Poi lei torna in Italia, mette su famiglia, ritrova la serenità. Quando il marito viene ucciso e lei incastrata e accusata ingiustamente, decide di fuggire e rispolvera l’esperienza di combattente – anche la capacità di violenza, che sperava di aver dimenticato – per dimostrare la sua innocenza, smascherare la corruzione dei veri colpevoli, e tornare dal figlio senza macchie. Mi piacciono i personaggi così perché sono idealista e mi sento un po’ eroina della Marvel, il bene che vince sul male, anche se non è più tutto bianco o tutto nero, essere eroina non vuol dire essere una !gura solo positiva, mi interessano le zone d’ombra con cui tutti abbiamo a che fare, e con cui empatizziamo quando le ritroviamo nei personaggi. Ma l’odio verso l’ingiustizia, la volontà di stare sempre a schiena dritta sono valori che mi guidano, anche nella vita. E penso che alla lunga paghino, perché ti fanno stare con la coscienza pulita. Quanto conta, nell’interpretare questa storia, essere madre davvero? Per me, moltissimo. Se devo trovare nella mia vita un momento che separa l’avanti Cristo e il dopo Cristo, è la maternità.
Siete cresciute insieme: l’ha avuta a neanche 25 anni. È stata una compagna di vita, lo è tuttora. Ricordo con grande tenerezza tutte le volte che da piccola mi ha seguito per lavoro. Le sveglie presto, lei che sul set si addormentava sul divano, il ritorno nella camera d’albergo, la cena insieme. Quanto è diversa da lei, e quanto uguale? Quando era piccola mi chiedevano: che cosa vorresti per tua !glia? Rispondevo: che diventi una persona migliore di me, e che si faccia rispettare. Migliore lo è, lo posso dire con grande oggettività. Ha una sensibilità rara, antica, una capacità di capire gli altri che mi commuove. Quanto al farsi rispettare: io se da ragazzina ricevevo le attenzioni invadenti di un ragazzo faticavo a reagire, mi imbarazzavo. Se a Elena qualcuno mette la mano sulla spalla e a lei non va bene, gli tira un ceffone. Del resto le ho sempre detto che, anche se dici sì e dopo ci ripensi, vale il fatto che ci hai ripensato, vale il primo no che dici. L’arrivo dell’adolescenza che effetto ha sul vostro rapporto? Anche oggi che inizia la fase in cui si stacca il cordone ombelicale e ci sono gli attriti, il confliitto, continuiamo a cercarci molto, a dirci le cose, quelle che vanno e quelle che non vanno. Ho la fortuna di avere una memoria pazzesca, ricordo ogni istante della mia adolescenza, quei momenti di insofferenza immotivata verso i genitori: questo mi aiuta a capirla. Anche se poi sono una mamma molto mamma, convinta che da una parte dobbiamo rispettare l’identità dei nostri !gli e responsabilizzarli – io sono andata via di casa a 19 anni – ma dall’altra dobbiamo dare loro un indirizzo, con l’esempio più che con le parole.