Vittoria Puccini e Aurora Ramazzotti vittime di catcalling

Spettacolo e Tv

Quella parola che abbiamo imparato in fretta, catcalling, dall’inglese cat, gatto, e calling, chiamare, usata in questi giorni per raccontare una forma di molestia denunciata da Aurora Ramazzotti sui social, non piace affatto all’avvocato Giulia Bongiorno.

Tutto è iniziato quando Aurora ha raccontato sul suo profilo Instagram di aver ricevuto apprezzamenti pesanti mentre stava correndo. «È da quando ho lavorato alla introduzione della legge sugli atti persecutori che tutti chiamano stalking che lo ripeto: dovremmo usare parole italiane per dire le cose. E non abbiamo neanche bisogno di fantasia per cercare un termine nuovo, perché non è un fenomeno nuovo».

Il catcalling è una molestia, avvocato Bongiorno? «È di certo l’espressione di una società ancora molto patriarcale che nella donna valorizza prima di tutto l’aspetto fisico. L’uomo si sente superiore e libero di manifestare qualsiasi tipo di apprezzamento sul corpo della donna. È evidente che la donna in questa concezione diventa oggetto e può essere destinataria di critiche e commenti senza che ci si interroghi sul fatto che questo possa essere gradito o meno. Sicuramente è una manifestazione di maschilismo, e guai a banalizzare».

Ben venga dunque che Aurora Ramazzotti, e le donne che si sono unite a lei, abbiano sollevato la questione? «Credo che Aurora abbia avuto il grande merito di uscire allo scoperto, perché sono tante le donne che non gradiscono affatto questo tipo di atteggiamenti ma li accettano e subiscono in silenzio, quasi fosse normale. Dire basta significa sfidare l’impostazione maschilista che ritiene che se ricevi un apprezzamento devi solo essere contenta.  Significa dire tu non sei legittimato a parlare del mio corpo come se la donna fosse solo corpo».

Tutto serve e anche questo sgretola un pezzetto del terreno in cui affonda le radici il nostro patriarcato? «Non mi aspetto che da domani finisca questo tipo di atteggiamento, piuttosto generalizzato, ma penso che sia opportuno dare seguito a questa presa di posizione di Aurora. Le donne dovrebbero stare nel solco di questo atteggiamento, essere consapevoli che è importante non disperdere questo gesto».

Secondo lei la poca consapevolezza su questo tema è più una questione di genere o di generazione? «Direi che anche oggi non sempre gli uomini capiscono quale fastidio e disagio possa suscitare una cosa di questo genere: la maggior parte dei ragazzi e degli uomini affronta il tema con sbigottimento e banalizzando. Scrollando le spalle e dicendo: ma che vuoi, io ti ho fatto un complimento. Ma è certo anche un fatto generazionale, perché dobbiamo ricordare che le nostre madri cominciavano appena a dire no alla violenza fisica, avendo qualche difficoltà a fermare quella psicologica. Soltanto oggi si pensa di arginare un fenomeno come il catcalling».

Qualcuno parla di creare una nuova fattispecie di reato: che cosa ne pensa? «Nei casi più pesanti è già prevista una fattispecie di reato, ed è quella della molestia, anche se di solito non viene contestata nell’ottica di punire solo le condotte di un certo rilievo. Questo non significa che non sia un fenomeno odioso e da combattere, ma se finora non si fanno processi pur avendo già una fattispecie di reato è perché non si può ampliare a dismisura il numero dei processi penali. Dobbiamo imparare a distinguere fatti che da un punto di vista morale contestiamo, da quelli che hanno una reale rilevanza penale».

In che modo spieghiamo ai maschi come si fanno i complimenti? «Credo che ci vorranno ancora molte generazioni prima che i maschi capiscano, intanto però dobbiamo provare a far capire loro che alle donne non interessa la superficialità: basta. Le donne desiderano essere apprezzate per la propria intelligenza, per le proprie capacità o sensibilità. Ricevere un commento del genere è come sentirsi dire che prima di tutto conta la fisicità e poi viene il resto. Credo sia arrivato il momento per i giornalisti e per chi è chiamato a dare una opinione, come me in questo momento, di spiegarlo a chi non è ancora pronto a capire».

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